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Matteo Picciolini

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Maïti Girtanner: la musica del perdono

Matteo Picciolini, 3 Dicembre 2023

Mi sono imbattuto nella storia di Maïti Girtanner circa un anno fa, quando un amico, in risposta a tante mie domande personali, mi ha consigliato di leggere il libro Maïti, resistenza e perdono. Ne parlo in questo post perché in questi ultimi mesi le parole di Maïti e la sua storia mi hanno fatto molta compagnia.
Racconto prima brevemente ciò di cui parla il libro, tuttavia ne consiglio vivamente la lettura: questo post non vuole essere assolutamente una sostituzione alla lettura, ma, anzi, uno spazio su cui ragionare sui temi di questa storia a posteriori della lettura.

Breve biografia

Maïti nasce nel 1922 ad Aarau, in Svizzera. Cresce qui fino al 1925, quando i genitori si trasferiscono in Francia a Nogentsur-Marne per esigenze lavorative del padre, che però muore un anno dopo. L'infanzia di Maïti è fortemente segnata dalla figura del nonno, Paul Rougnon, noto professore al conservatorio di Parigi. È proprio il nonno a insegnarle a suonare il pianoforte fin da giovanissima. Scrive Maïti: Compresi che sarei stata concertista, che il pianoforte non sarebbe stato per me un passatempo, ma la ragione d'essere della mia vita, la mia maniera di esprimermi e di restituire agli altri i doni che il Signore mi aveva dato.

Nel 1939 scoppia la guerra, e Maïti si trova con la famiglia a Bonnes, vicino a Poitiers. Con l'invasione della Francia, in breve tempo Bonnes viene divisa in due dalla linea di demarcazione che separa la Francia occupata da quella libera. Sfruttando l'ottima padronanza della lingua tedesca, durante la guerra Maïti dedica la propria vita al servizio della popolazione occupata, fino ad entrare a far parte della Resistenza Francese. Durante questo periodo si espone personalmente e consapevolemente a tantissimi rischi. Tra tutto ciò che racconta nel libro riguardo a questo tempo, mi preme sottolineare una cosa che rimarca Maïti nel libro: Non mi sono svegliata parte della Resistenza un bel giorno. Non mi sono attribuita, all'indomani della sconfitta la missione di scacciare i tedeschi dalla Francia. [...] La mia storia è più semplicemente quella di una giovane ragazza che voleva rendersi utile agli altri.

Nell'Ottobre del 1943 Maïti viene scoperta e catturata dai tedeschi e da qui fino alla liberazione nel Febbraio del 1944 subisce violenti interrogatori in cui viene atrocemente torturata. Alla fine della guerra, i centri nervosi della sua spina dorsale sono così danneggiati che non solo non sarà più autonoma per il resto della vita, ma non sarà più in grado di suonare il pianoforte, la ragione d'essere della sua vita. Scrive: Quando alla fine della guerra, ritornai a Bonnes, mi sedetti davanti alla tastiera del vecchio piano verticale dove mi ero tanto esercitata e dove avevo tante volte suonato. Sin dal pirmo accordo, il problema fu evidente, le mie dita non mi seguivano più. Nella mia testa lo spartito sfilava scorrevolemente, capivo la musica. Sotto le mie dita, le concatenazioni diventavano però laboriose, i suoni secchi e duri. [...] Lo shock fu umilante, disperante, rattristante, crociffigente. [...] Il piano era la mia vita, la musica il mio modo normale di espressione. Tutto ciò era finito. Questa rinuncia fu terribile da accettare. Per anni sentire suonare il pianoforte mi faceva piangere. Di rabbia e di rimpianto.

Decenni dopo la guerra, nel 1984, bussa alla sua porta di casa Lèo, il medico tedesco che l'aveva torturata. La conversazione tra Lèo e Maïti, riportata nelle prime pagine del libro, è intensissima. Davanti al pentimento di Lèo, Maïti risponde: [In Paradiso] c'è posto per tutti quelli che, qualunque sia il peso del loro peccato, accettano di accogliere la misericordia di Dio. È per questo che Cristo ha donato la sua vita per noi. E se è salito fin sulla croce, è proprio perché il prezzo da pagare era elevato. Ma proprio perché lui è salito fino a là, possiamo avere fiducia. Durante il suo ultimo respiro, è a lei personalmente, è a me personalmente che pensava. Mai ha abbandonato l'amore folle che nutre per lei, anche quando lei era il più lontano da Lui.
Scrive poi: Istintivamente, presi il suo viso tra le mani e lo baciai sulla fronte. In quel momento seppi che l'avevo veramente perdonato. Quel bacio fu un autentico bacio di pace. Il più vero e il più sincero che io abbia mai dato o ricevuto.

Maïti muore a Mesnil-le-Roi il 28 marzo 2014. I funerali sono stati tre giorni dopo nella chiesa di Bonnes.

Libro francese

Libro originale in lingua francese. La traduzione esatta del titolo è:
«Anche i carnefici hanno un'anima».

«Non fare della mia vita una tragedia»

Fin dalle prime pagine, Maïti si mette a nudo, raccontando prima di qualsiasi altra cosa, l'incontro con Lèo del 1984. Scavalcando qualsiasi regola di scrittura di un libro, arriva subito, già nella primissima pagina, al nocciolo fondamentale della sua vita, l'incontro con il suo aguzzino decenni dopo la fine della guerra. Per evitare qualsiasi forma di intrigo verso una vicenda estremamente personale, e per mantenere la discrezione e la sacralità del dettaglio, Maïti non esita a partire dalla fine della sua storia, raccontandoci ciò che temporalmente arriva per ultimo. Scrive: Se ho accettato dopo tanti anni di raccontare ciò che ho vissuto, non è per ricevere un qualche brevetto di resistenza o qualche attestato di bravura, ma unicamente per aiutare coloro che attraversano il tunnel del dubbio a percepire la fiamma della speranza, per mostrare a coloro che hanno conosciuto l'umiliazione che il perdono è possibile.

Rispetto a tutta la storia di Maïti, ci sono vari aspetti che mi colpiscono. Primo fra tutti la coerenza. Le modalità con cui Maïti si racconta sono del tutto coerenti con quello che esprime nei giudizi e nelle parole. In quasi centocinquanta pagine di libro, lo spazio che dedica alla violenza che ha subito, che di fatto ha segnato la sua vita, è mezza pagina. Tutto il resto è un racconto di una vita piena, donata. Questa coerenza tra modalità e racconto stesso non è scontata, anzi, rende ancora più vera e vivida la testimonianza di Maïti.
Pensando a me, invece, quante volte mi soffermo solo al dolore che un dato fatto mi ha arrecato o mi arreca, senza uno sguardo più ampio... Mi chiedo, proprio per inclinazione caratteriale, se capitasse a me di dover scrivere della mia vita, che spazio darei alle cause del mio dolore? Sarebbe solo un trafiletto?
Con questo non voglio sminuire la tragedia che è capitata a Maïti, anzi. Mi chiedo ancora di più cosa può aver retto davanti a una disgrazia così grande come quella di aver certi la propria strada e il proprio ruolo nel mondo e vederlo negato per imposizione di qualcun altro.

Questa è la domanda che più mi preme. Davanti a questo male e a questa enorme ingiustizia, cosa regge? Cosa regge veramente? Perché una semplice consolazione non basta. Scrive Maïti: «La verità vi farà liberi», ha detto Gesù. Presi coscienza, in quei momenti della mia ricostruzione, che solamente accettando la verità su ciò che ero diventata potevo raggiungere la libertà dell'anima e la pace del cuore.
Spesso ho pensato, e penso ancora a quelle parole di Gesù indirizzate a san Pietro che erano tanto una promessa quanto un avvertimento: «Quando eri giovane, ti mettevi la cintura e andavi dove volevi: ma quando sarai vecchio, un altro ti cingerà la cintura e ti porterà dove tu non vorrai». Quella profezia sarebbe insopportabile, tra il ciniscmo e il sadismo, se ci dimenticassimo che veniva subito dopo la triplice domanda di Gesù «Pietro, mi ami tu?», alla quale finì per rispondere «Signore, tu conosci tutto, sai bene che ti amo». È da quel momento che si ristabilisce la fiducia tra di loro ed è l'amore, il più forte, che determina il loro rapporto, cosicché la prospettiva d'essere condotto là dove non vuole non è più una minaccia, ma una sicurezza. È così che lo intendevo anche per me stessa.
Un giorno decisi che non avrei più rimpianto ciò che ero stata o che sarei potuta diventare, ma avrei amato ciò che ero e cercato ciò che avrei dovuto essere.


Guardando alla mia esperienza, mi impressiona la libertà di questa donna. Una libertà vera, non fatta di parole, ma di fatti accaduti. Una libertà che è possibile solo nella certezza di un Padre che per la mia vita ha in mente un destino più grande di quello che posso immaginare.
Riferendosi alla propria condizione, scrive Maïti: La libertà non si ottiene mai negando la realtà. Sentii allora che la mia liberazione fisica e interiore passava per un dovere di verità: accettare fino in fondo ciò che ero diventata. Ciò che non ero più dovevo accettare di lasciarlo per essere capace di ricostruire.
Mi sembra che tra tutti i temi che tocca questo libro, quello della libertà sia, anche per il tempo in cui viviamo, il tema preponderante. Libertà intesa, però, nel senso più compiuto, quello, cioè, di prendere in mano la propria vita, abbracciare totalmente i propri limiti, il proprio dolore, la propria storia, e, senza censurare nulla, vivere ogni giorno per contribuire all'opera di Dio.
Maïti mi è compagna nella vita, perché mi testimonia questo: non solo che il perdono è possibile, ma anche che è l'unica modalità per riconoscere la positività di fondo della mia vita. Ed è questo che rende Maïti molto più libera di quanto io sia mai stato.

Da ultimo, c'è un dettaglio cruciale nella storia di Maïti che merita attenzione. Questo libro racconta la storia di una donna che solo con le proprie capacità non sarebbe mai riuscita a superare la violenza subita. In tutto il libro, Maïti indica sempre, con estrema chiarezza e lucidità, quasi senza pudore, Chi le ha cambiato la vita. Questa fede, questo affidamento totale, mi colpisce profondamente, perché nella storia di Maïti, va di pari passo con l'impegno con la vita. Ed è in questo, nell'impegno con la vita, che si percepisce veramente la sua fede: Maïti non si arrende davanti alla realtà, ma la accoglie.
Un giorno un mio amico mi ha detto: Non sei schiavo delle circostanze se sei in rapporto con Qualcuno che è più grande di quelle circostanze. Per me, la vita di Maïti è testimonianza di questo.