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Matteo Picciolini

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Passione in sessione

Matteo Picciolini, 22 Aprile - 13 Giugno 2024

Negli ultimi mesi sono stato immerso nel frenetico ritmo degli esami universitari: la sessione invernale ha invaso la mia quotidianità e scandito le giornate. Questo periodo dell'anno accademico è stato sempre di difficile gestione, perché nella ripetitività delle giornate mi è estremamente facile perdere il senso di quello che faccio e di quello che studio.
In questi anni, nel rapido susseguirsi dei giorni di sessione, è sempre stato più facile dare tutto per l'esame piuttosto che per me. È più comodo - perché lascia più quieti - preoccuparsi dell'esito dell'esame invece di preoccuparsi del ruolo che quello studio ricopre nella mia vita, dello scopo che quella materia ha per me e per il mondo.

A Dicembre, ad un pranzo con alcuni amici, parlando del rapporto con lo studio, uno di loro ha fatto questa metafora:
Immagina di entrare, con qualche amico, in una stanza di qualcuno che non conosci. Entrando vedrete tante cose, ordinate in una certa maniera. In qualche modo, dalle cose che ci sono in questa stanza e da come sono ordinate, potrete conoscere il proprietario della stanza. Studiare è quella modalità che permette di conoscere chi abita quella stanza.
I successivi mesi di studio intenso sono stati opportunità per riconoscere vere queste parole, sia in università, sia che con gli amici con cui ho avuto (e ho) la grazia di condividere la fatica dello studio. In particolare, mi sembra che questa semplice metafora metta in luce alcuni elementi non banali.

stanza di Einsten

Stanza di Albert Einstein fotografata poche ore dopo la sua morte nel 1955.

Innanzitutto, il fatto che in questa stanza, non mi ci sono messo io, ma mi ci sono trovato. Fuor di metafora: non ho certo deciso io di mettermi al mondo, e da qui nasce quel desiderio di conoscere non solo il mondo, ma anche Chi ha avuto l'ardire di pensarlo, in tutta la sua bellezza e in tutte le sue contraddizioni. E come guardando un quadro posso riconoscerne l'autore, studiando com'è fatto il mondo e come funziona - ma sopratutto perché funziona così - conosco sempre più, piano piano, il bene che mi vuole Chi me l'ha donato, perché c'è un aspetto proprio di ogni dettaglio che può dire solo quel dettaglio. Scrive Giussani ne Il senso religioso:
[...] non sarebbe umano affrontare la realtà del mondo, arrestando la capacità umana di addentrarsi alla ricerca d'altro, così come in quanto uomini si è sollecitati dalla presenza delle cose.
E ancora: [...] la stoffa stessa della vita è una trama di esigenze [...]: la prima è l'esigenza di verità, cioè semplicemente l'esigenza del significato delle cose.
Senza indulgere nel romanticismo, durante questi mesi ho vissuto numerosi momenti in cui, immerso nello studio e concentrato sull'esame, mi sono improvvisamente fermato a chiedermi il motivo per cui quel dettaglio, quel particolare piccolissimo che stavo studiando fosse proprio così e non in un altro modo: non solo le leggi che lo regolassero, ma proprio perché dovesse essere così.
Mi ricordo, per esempio, quando, durante lo studio dell'esame di Astrofisica Nucleare Relativistica ho scoperto il processo di formazione stellare. Stavo studiando in un'aula silenziosa e di colpo, come un'illuminazione improvvisa, tutto è diventato chiaro. È stato come se un ingranaggio che non trovava il suo posto da tempo, dopo tanti sforzi e tentativi, finalmente si fosse incastrato perfettamente, permettendo al grande macchinario di cui è parte di funzionare senza intoppi. Ero così emozionato che non potevo non dirlo subito ad un amico. Sono corso fuori dall'aula e a chiunque incontrassi ho raccontato quello che avevo scoperto. Mi sentivo eccitato, perché il meccanismo era affascinante, i conti perfetti a descrivere il fenomeno, eppure, così, da sole, per quanto belle, queste cose non bastavano, perché sapevo che piano piano avrebbero smesso di stupirmi e sarebbero diventate abitudinarie.
Per continuare a stupirmi così è stato necessario chiedermi, per ognuna di queste cose che mi lasciava sbalordito, cosa avessero da dirmi di me e del mondo che mi circonda. E con questa modalità di studio ho veramente avuto modo di conoscermi di più, perché questa domanda che mi pongo non rimane statica, uguale, ma cambia, muta, sulla base di quello che mi accade ogni giorno, e così trova abbozzi di risposta che hanno a che fare direttamente con me, e non sono lontani o eterei. Nasce da qui la profonda e sempre più convincente consapevolezza che tutto mi sia donato.

stanza nonno

Stanza del nonno pochi giorni dopo la sua morte nel 2019.

La metafora della stanza mi colpisce anche perché rende evidenza della facilità con cui spesso trascuro il fatto che si possa studiare e comprendere la realtà, il mondo e i meccanismi che lo regolano. Le leggi fisiche parlano di un ordine del e nel creato, come espressione di una ragione che dice qualcosa di sé attraverso questo. Il fatto stesso che la realtà non sia casuale, ma che sia intellegibile e che i fenomeni siano comprensibili, capibili, studiabili, è un dono inestimabile. Credo che si possa apprezzare pienamente la vertiginosa grazia di questa possibilità immaginando di vivere in un mondo ipotetico - ma tecnicamente possibile - in cui nulla sia conoscibile, perché tutto sarebbe caotico e privo di senso: sarebbe un'esperienza terribile. La scoperta di una legge naturale implica che la realtà abbia un senso profondo, e questa deduzione vale non solo per le leggi fisiche, ma per tutti gli ambiti della conoscenza.
Uno sguardo allo studio che tenga conto di questa grazia non è assolutamente scontato, pur essendo il presupposto di ciò che studio, perché chi cerca ragione dove ragione non c'è, è semplicemente stupido. Il fatto stesso che sono naturalmente portato a cercare il nesso tra le cose, la ragione per cui succedono determinate cose, presuppone, di fondo, che il nesso ci sia. L'esistenza di un senso a priori è un presupposto scontato per apprendere, ma è fondamentale riconoscere che, a ben vedere, questo non è affatto dovuto.

Sotto consiglio di un amico, a Gennaio ho letto un libro, Il miracolo di padre Malachia di Bruce Marshall, che mi ha tenuto compagnia proprio su questo tema. Riporto qui un breve estratto di una riflessione che il protagonista fa a inizio libro:
[...] Il miracolo dell'ordine e della regolare successione dei fenomeni non era forse più meraviglioso che non il miracolo dell'interruzione di quello stesso ordine? (Chi, svegliandosi la mattina, ritrova i suoi vestiti ancora sulla spalliera della stessa sedia, potrebbe benissimo gridare al miracolo, poiché di un vero miracolo si tratta, e molto più meraviglioso di quello che avverrebbe se, durante la notte, Dio si prendesse quei vestiti e li mandasse a finire sulla spalle di uno spaventapasseri piantato nel cuore della Russia. [...]). Quindi, come dicevano i teologi, il miracoloso intervento di Dio era necessario per consevare il mondo non meno che per crearlo o distruggerlo.
Questo breve frammento, che, peraltro, è il tema stesso di questo libro, mi scuote perché esprime in maniera limpida una dinamica abitudinaria che è totalmente mia. Quante volte mi capita di vivere una situazione ogni giorno e, in virtù della sua ordinarietà, mi ritrovo a sfibrarla di ogni senso o significato! Forse, invece, la cosa più semplice e ovvia, come svegliarsi al mattino e ritrovare i vestiti al loro posto, lì, sulla sedia dove li ho lasciati la sera prima, è la cosa più miracolosa di tutte. Non solo non è scontato il fatto che io mi sia alzato la mattina, ma non è scontato il fatto che ogni giorno tutto continui a esistere così come lo conosciamo.

feynman

Richard Feynman con alcuni studenti nel 1950 al California Institute of Technology.

In modo forse più velato, la metafora della stanza dice anche un'altra cosa: in questa stanza non siamo soli. Non si impara mai da soli: tutto ciò che abbiamo appreso lo dobbiamo agli altri, fin da quando eravamo bambini. Questo fatto ci mette in profonda comunione con chi è assieme a noi in questa stanza, perché ognuno, richiamato da un dettaglio diverso, comprende e conosce qualcosa di accessibile solamente attraverso quel particolare specifico. Scrive Richard Feynman in Surely You're Joking, Mr. Feynman!:
I was born not knowing and have had only a little time to change that here and there.
Sono nato senza sapere e ho avuto solo un po' di tempo per cambiare questo stato di cose di tanto in tanto.
Certamente l'apprendimento rimane, comunque, un fatto estremamente personale ed intimo, ma che non sarebbe possibile senza dei maestri che insegnano non a replicare delle risposte, ma a porsi delle domande. Non è solo il fatto che io e i miei amici siamo alla scoperta, insieme, dentro quella stanza, ma anche che è possibile un confronto tra noi per testimoniarci ciò che ognuno di noi ha scoperto nel suo dettaglio. In questo senso, questi sono i veri maestri.

Scrive Einstein nel 1936 in una lettera ad una sua studentessa: Chiunque sia veramente impegnato nel lavoro scientifico si convince che le leggi della natura manifestano l’esistenza di uno Spirito immensamente superiore a quello dell’uomo, e di fronte al quale noi, con le nostre modeste facoltà, dobbiamo essere umili. Certamente il dio descritto da Einstein è più simile a un principio universale o a una forza cosmica che governa l'universo, ma sono evidenti anche nelle sue parole da agnostico i tratti della metafora della stanza: l'esperienza dello studio in sé può essere approfondimento del rapporto con Dio. In questi mesi è stato bello poter verificare che siamo fatti per conoscere e amare, che c'è un'intrinseca gratificazione nel conoscere attraverso l'impegno e la fatica, come se questo modo di apprendere fosse pensato apposta per noi.